domenica, marzo 14, 2021

Si torna a parlare di Stato Islamico

È dall’inizio del 2019 che lo Stato Islamico (IS) non fa più notizia, dalla battaglia di Baghuz Fawqani e dalla conseguente sconfitta e caduta del califfato, ma nonostante la perdita dei territori l’ideologia jihadista salafita che portò alla proclamazione del Daesh non sembra aver subito la debacle che tutti si aspettavano. Lo dimostrano il significativo aumento degli attacchi sferrati nel 2020 nelle zone centrali della Siria e dell’Iraq, la crescente presenza nell’area Afghano-Pakistana e in gran parte del continente africano e la rivendicazione degli attentati suicidi che hanno colpito Baghdad nei primi giorni del 2021. Un rapporto del Middle East Institute (MEI) - US Policy and the Resurgence of ISIS in Iraq and Syria - afferma che l’IS “dimostra sia la capacità che la volontà di riprendere il territorio, le popolazioni e le risorse, sia in Siria che in Iraq”. Secondo i funzionari militari iracheni, gli attacchi stanno diventando sempre più complessi e sofisticati, con operazioni che prendendo di mira i posti di blocco e le installazioni dell’esercito iracheno: nel primo trimestre del 2020, sono state segnalate 566 azioni e una recente valutazione del Terrorism Research & Analysis Consortium (TRAC) ha rivelato che nel solo agosto 2020 l'IS ha rivendicato in Iraq più di 100 attacchi, con un aumento del 25% rispetto al mese precedente. 

In Siria il regime ha spostato la sua attenzione a nord, nella provincia di Idlib, ultima roccaforte delle forze di opposizione, ignorando in pratica le vaste aree ad est di Homs e Damasco. Ed è proprio in quelle regioni che sta crescendo la presenza dei militanti dell'IS, questo nonostante l’operazione condotta dalle Forze speciali USA che lo scorso 21 ottobre ha portato all’uccisione dell'ex califfo Abu Bakr al-Baghdadi, una morte che secondo il Pentagono non ha avuto alcun impatto sulle modalità di agire dei jihadisti e che non ha cambiato la strategia del gruppo. L’IS, infatti, sopravvive nelle aree controllate dal regime siriano ad est dell'Eufrate e nelle zone controllate dalle Forze Democratiche Siriane (SDF) a ovest dell'Eufrate, dove sembra addirittura prosperare. Qui è in grado di sfruttare a proprio vantaggio i territori non monitorati lungo il confine iracheno-siriano e sta nuovamente facendo uso di bombe sul ciglio della strada e di esplosivi avanzati. Ed è proprio in quest’area, da Homs alla provincia di Deir ez-Zor, che nell’aprile 2020 i terroristi hanno lanciato una serie di attacchi contro le zone controllate dal governo di Damasco. 

Funzionari dell'intelligence irachena riferiscono che nello stesso periodo circa 500 militanti, inclusi alcuni detenuti fuggiti dai centri di detenzione siriani, sono rientrati in Iraq e si sospetta anche che l'IS abbia fatto esplodere un’importante gasdotto nel cuore del territorio controllato dal regime siriano. A questo si aggiungono i numerosi attacchi sferrati contro le SDF nel nord-est del paese e la costante sequenza di omicidi, imboscate e bombardamenti che hanno accompagnato la Siria orientale per tutto il 2020. Nel solo mese di agosto l’IS ha firmato in tutta la Siria 126 attacchi, un numero significativo se si pensa che in tutto il 2019 gliene erano stati addebitati 144, e sebbene attualmente non sia in grado di organizzare attacchi al di fuori dell'Iraq e della Siria i dati mostrano che sta espandendo la sua presenza in entrambi i paesi. 

Il movimento jihadista continua a portare avanti il reclutamento online e ad avere finanziamenti e flussi di cassa considerevoli, con riserve che MEI stima tra i 50 e i 300 milioni di dollari. Una recente valutazione delle Nazioni Unite ritiene che IS possa contare attualmente su più di 10.000 combattenti, mentre il Pentagono considera possibile che il numero possa addirittura raggiungere le 18.000 unità. Pur essendo improbabile che si possano ripresentare le stesse condizioni che hanno innescato l’espansione del 2014, oggi l’IS può ancora rappresenta una minaccia concreta; anche se di basso livello, un’insurrezione non potrebbe che costituire un problema per la coalizione e per l’intero Medio Oriente. 

La popolarità dell'ideologia, il caos che attanaglia le aree in cui opera, le politiche a volte incoerenti messe in atto dalla coalizione per contrastarne la rinascita e la pandemia che sta sconvolgendo il globo sono tutti fattori che lo rendono ancora un pericolo. Con il “successo” misurato in decenni, la perdita di territorio è vista dall’IS come una cosa temporanea e in una prospettiva di jihad a lungo termine anche i piccoli successi potrebbero rappresentare una grande vittoria, soprattutto in un contesto quale quello siriano-iracheno dove la mancanza di sicurezza, la corruzione, la crisi economica e le rimostranze etnico-religiose diventano humus per l’estremismo jihadista. (IT Log Defence)

Foto Middle East Institute