Nonostante Israele non abbia quasi mai considerato la frontiera settentrionale una “preoccupazione di primo livello”, per alcuni analisti oggi quel confine sta assumendo un ruolo centrale, al primo posto nella lista delle priorità della Knesset. I più ottimisti credono che nella peggiore delle ipotesi, una guerra contro Hezbollah potrebbe solo trasformarsi in una serie di scontri di bassa intensità, attacchi e contro attacchi senza ripercussioni sul futuro della regione e sulla vita di chi vive in quei territori; gli altri, i più scettici, pensano invece che la prossima guerra con il movimento sciita libanese finirà per diventare un conflitto su vasta scala, intenso e letale, dagli effetti catastrofici. Vista l’attuale situazione, è comunque difficile escludere incidenti trans-frontalieri dalle conseguenze mortali, azioni che potrebbero coinvolgere la popolazione civile e scatenare un’escalation incontrollata, riportando le lancette dell’orologio alle 06:00 del 12 luglio 2006, all’inizio della Seconda guerra libanese.
In realtà questa ipotesi non converrebbe a nessuno, soprattutto al movimento sciita, ma le provocazioni non mancano. L’ultima, in ordine cronologico, la più pesante dalla fine del conflitto del 2006, risale alle 11:00 di venerdì 6 agosto: 19 razzi da 122mm lanciati da postazioni Hezbollah contro le alture del Golan e contro i villaggi dell’Alta Galilea (terrorism-info.org). Nessuna vittima, ma le conseguenze psicologiche per gli ebrei, gli arabi e i drusi che popolano la regione sono stare ancora una volta devastanti. Le forze di difesa israeliane (IDF) hanno affermato che 10 proiettili sono stati intercettati dal sistema di difesa missilistico Iron Dome e sei sono atterrati in aperta campagna, intorno al Monte Dov, mentre altri tre razzi non sono riusciti a superare il confine e sono caduti in territorio libanese. Secondo Hezbollah, si è trattato di una ritorsione alle operazioni condotte dall’aviazione israeliana nei giorni precedenti; secondo Gerusalemme, un’attacco sconsiderato al quale IDF ha subito risposto con colpendo le posizioni sciite con il fuoco di artiglieria.
Solo due giorni prima, alle 12:00 del 4 agosto, avevano suonato le sirene di Kiryat Shmona, Kfar Giladi e Tel Hai, villaggi israeliani a pochi chilometri dal confine con il Libano (Reuters). Anche in questo caso tre razzi lanciati da “presunti gruppi palestinesi” che, con il placet di Hezbollah, operano nella Terra dei cedri, uno caduto all'interno del territorio libanese e due su suolo israeliano, a circa 200 metri dalle abitazioni. Immediata la reazione israeliana, con colpi di artiglieria sparati contro obiettivi situati nel sud del Libano e sortite dell’aeronautica che nei giorni successivi ha bombardato alcune infrastrutture terroristiche nella zona di Marjayoun (Reuters ). Un fatto rilevante, perché l’attacco aereo condotto contro il Libano meridionale è stato il primo apertamente riconosciuti da IDF dal 2014; le precedenti risposte si erano sempre limitate ad azioni riservate ai semoventi M109 Doher dell’esercito.
Tolte poche eccezioni, negli ultimi 15 anni Hezbollah si era astenuto dal condurre attacchi contro Israele; la situazione è cambiata all’indomani dell’inizio della crisi israelo-palestinese, con l’Operazione Guardiani delle Mura contro la Striscia di Gaza e contro Hamas. Tra maggio ed agosto 2021 i miliziani sciiti libanesi hanno lanciato 38 razzi sull’Alta Galilea e sulle Alture del Golan e tra gennaio ed agosto IDF ha abbattuto tre droni penetrati nello spazio aereo israeliano, non armati ma muniti di telecamera, ha intercettato l’ennesima serie di tunnel utilizzati dai terroristi per penetrare in Israele (Israel Hayom) , ha sequestrato diversi carichi di armi leggere e, in territorio Siriano, ha intercettato depositi e convogli di missili, armi e munizioni diretti verso gli arsenali di Hezbollah (Times of Israel). C’è poi un altro aspetto da considerare, quello politico: con la nazione paralizzata dalla crisi finanziaria e dalla mancanza di carburante, la mossa di Nasrallah nel portare il gasolio iraniano in Libano ha spiazzato l’establishment e ha cambiato gli equilibri interni. Per il ministro degli Esteri dell'Arabia Saudita, la ragione della crisi libanese va ricercata nell'insistente atteggiamento di Hezbollah nell'imporre la propria volontà, ma che ci piaccia o no, l'organizzazione sciita sta uscendo dalla catastrofe economica libanese più forte, sta guadagnando consensi ed in grado di influire sulle scelte del governo in modo determinante.
Le rivendicazioni libanesi sulle Alture del Golan, la controversia Beirut-Gerusalemme sulle acque territoriali, la recente visita di Hamas a Beirut, tre fatti che potrebbero cambiare il corso degli eventi. Secondo quanto diramato dell'emittente israeliana Kan, il 20 settembre scorso, durante una sessione del parlamento riunito per votare la fiducia al nuovo governo, il Primo Ministro libanese, Najib Mikati, ha ufficialmente rivendicato i territori che considera occupati da Israele, avvertendo che “i cittadini libanesi hanno il diritto di opporsi all'occupazione israeliana e di rispondere ai suoi attacchi” (Times of Israel). A Beirut si torna a parlare di occupazione israeliana e di guerra, e questa volta a farlo è un premier sunnita, un uomo d’affari legato al mondo arabo, uno dei più ricchi imprenditori mediorientali. Lo aveva già fatto il neo eletto Presidente della Repubblica, Michel Aoun, nel 2016 in parlamento, durante il discorso di insediamento (AGI). Fondatore del principale partito cristiano maronita del Paese, si era rivolto al popolo libanese parlando di unità nazionale e di spirito della Costituzione che garantisca una reale parità tra le confessioni, facendo poi riferimenti alla “protezione del Paese dal nemico israeliano”, al “diritto al ritorno” dei profughi palestinesi e alla situazione siriana. Le dichiarazioni di Mitaki sembrano essere però più specifiche, più calzanti alla posizione sciita, un chiaro riferimento alle fattorie di Sheba, un’area di 22 km² conosciuta come Monte Dov, conquistata da Israele alla Siria nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, e annessa alle Alture del Golan nel 1981.
Le fattorie di Sheba non sono la sola questione sul tavolo: nel parlare di “diritto ad opporsi all’occupazione israeliana”, Najib Mikati fa riferimento anche alla controversia questione sui piani di estrazione di gas naturale nella fetta di acque internazionali rivendicate sia dal Libano che da Israele come propria zona economica esclusiva (ZEE). La disputa riguarda un triangolo del Mar Mediterraneo largo in media da cinque a sei chilometri che costituisce circa il 2% delle acque economiche israeliane (Reuters) . In questa area, Gerusalemme ha concesso al gruppo statunitense Halliburton un contratto di trivellazione offshore; l’accordo, che vede coinvolta la società internazionale di esplorazione e produzione di idrocarburi Energean, prevede la fornitura di servizi integrati per il completamento di tre pozzi fissi e due opzionali. Beirut, che rivendica come sua quella zona, si oppone all’accordo e per tutta risposta ha già invocato l’intervento delle Nazioni Unite: fermare le trivellazioni e fare chiarezza sull'area contesa “al fine di evitare qualsiasi attacco al diritto e alla sovranità del Libano”. Israele esclude che le perforazioni, che dovrebbero iniziare nel primo trimestre 2022, possano interessare proprio quella striscia di mare; inoltre, contesta l’atteggiamento di Beirut che continua a voler imporre un confine marittimo stabilito nel 1923, un linea di demarcazione che aggiungerebbe alla propria ZEE più di 1.400 km quadrati (540 miglia quadrate) di fondali.
Il 3 settembre scorso il leader di Hamas, Isma'il Haniyeh, si è recato in visita ufficiale in Libano; lo aveva già fatto all’inizio dell'estate, quando era rimasto nella capitale per incontrare Nasrallah, il presidente Michel Aoun e il capo del Parlamento Nabih Berri. Prima di arrivare a Beirut, Haniyeh aveva visitato il Marocco e la Mauritania, tappe del tour organizzato per celebrare quella che Hamas e i suoi sostenitori considerano la “vittoria” nel conflitto di maggio contro Israele (AA). Il 5 agosto Isma'il Haniyeh e alcuni rappresentanti di Hezbollah e della Jihad islamica palestinese si erano visti a Teheran, alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente iraniano, Ebrahim Raisi (i24news). Il gruppo di resistenza palestinese e il gruppo armato sciita libanese hanno legami di vecchia data. A causa di differenze settarie, le loro motivazioni e origini ideologiche sono diverse, ma entrambe le organizzazioni sono allineate al fronte anti-israeliano guidato dall’Iran, fronte che incluse il regime di Assad e che punta a sradicare la presenza israeliana dal Medio Oriente.
Anche durante l’ultima guerra con Israele, Hamas ha goduto del sostegno di Hezbollah: recentemente, Yahya Sinwar, figura politica di spicco a Gaza, ha affermato che per tutta la durata dei combattimenti Hamas si è coordinato sia con Hezbollah che con le Guardie rivoluzionarie iraniane (Times of Israel), e secondo fonti di stampa vicine al movimento sciita libanese, la cooperazione potrebbe essere andare anche oltre, arrivare a sferrare un attacco coordinato contro Israele (Al Monitor). Di collaborazione militare tra i due gruppi ne ha parlato Ibrahim Al-Amine, direttore del quotidiano libanese Al-Akhbar, che in un articolo riferisce di un centro operativo militare congiunto attivo a Beirut durante la crisi di maggio (TRT World). All’iniziativa, aperta per coordinare la lotta contro Israele, avrebbero partecipato anche ufficiali delle Guardie rivoluzionarie iraniane e persino il comandate della forza Quds, Esmail Ghaani, erede del carismatico leader Qasem Soleimani. Amine ha anche affermato che nello stesso periodo Hezbollah avrebbe fornito armi e munizioni a Gaza, assicurando l’esfiltrazione di un certo numero di ufficiali della resistenza palestinese dalla Striscia.
I tunnel, una violazione alla Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e una minaccia per Israele realizzata con i finanziamenti iraniani e know-how nordcoreano. Secondo quanto pubblicato dalla stampa israeliana, i miliziani libanesi avrebbero scavato una rete di gallerie che da Beirut porta fino al confine con Israele, centinaia di chilometri di passaggi sotterranei costruiti per consentire il movimento rapido e non visibile di armi e combattenti. Un modello già usato con i sei tunnel d'attacco scoperti e distrutti tra il 2018 e il 2019 da IDF durante l'operazione Northern Shield (JPost), gallerie scavate ad una profondità di 80 metri (260 piedi), munite di corrente elettrica e rete telefonica, che partendo da abitazioni o scuole libanesi penetravano per diverse decine di metri in Israele, pronte per essere utilizzate dall’Unità Radwan, la forza speciale costituita da Hezbollah per compiere attacchi terroristici all’interno dello Stato Ebraico. Proprio in seguito a quelle scoperte, dal gennaio 2020 IDF ha iniziato a installare una serie di sensori sotterranei lungo il confine settentrionale per rilevare eventuali attività di scavo.
L’arsenale missilistico: grazie al sostegno militare e finanziario del regime degli Ayatollah, Hezbollah è diventato l’attore non statale più pesantemente armato al mondo: "una milizia addestrata come un esercito ed equipaggiata come una nazione". Ciò è particolarmente vero per quanto riguarda le sue forze missilistiche, fiore all’occhiello della politica anti sionista di Nasrallah, un'arsenale composto principalmente da piccoli razzi di artiglieria non guidati, circa 130.000 secondo fonti israeliane, un numero talmente alto che, nonostante la scarsa precisione, li rende un’arma più che temibile (Missile Treath). In gran parte sono sistemi d’arma balistici a corto raggio con range massimo di 75 km, provenienti per lo più dalla Siria, di produzione iraniana, russa, cinese o sovietica, con calibri che vanno dai 107mm a 333mm e testate a frammentazione armate con cariche da 8 a 190 kg di esplosivo ad alto potenziale (HE): Katyusha, Grad 9M22, Type-63 e Type-81, Fajr-1, Fajr-3 e Fajr-5, Falaq-1 e Falaq-2, Shahin-1, Raad-2, Raad-3 e Khaibar-1.
Per colpire Israele più in profondità, l’Iran e la Siria armano il movimento sciita libanese con i missili Zeldal-1/2, Fateh-110 e Scud B/C/D. Lo Zelzal è una variante iraniana del missile balistico di artiglieria sovietico FROG 7, un sistema d’arma utilizzato dalle milizie Houthi nella guerra in Yemen, con gittata di 160/210 km e testata HE da 600 kg. Il Fateh-110, anch’esso realizzato in Iran, è invece una versione modificata del Zelzal-2. Prodotto su licenza in Siria con denominazione M-600, è considerato una tra le armi più letali in mano ad Hezbollah: range di 250-300 km, testata armata con 450-500 kg di esplosivo HE e sistema di guida GPS, con probabile errore sull’obiettivo (CEP) di 100 m. In un rapporto datato 2010 (Haaretz) , Israele afferma che a partire dal 2007 la Siria e l’Iran avrebbero trasferito in Libano un certo numero di missili M-600 e Fateh-110; inoltre, rapporti non confermati indicano che Damasco ha già fornito alle milizie sciite Hezbollah un numero non precisato di missili Scud (varianti B, C e D), un sistema d’arma molto impreciso che però garantisce un range di 300-550 km per una testata HE da 600-950 kg. I report riguardanti gli Scud sono emersi alla fine del 2009 e di nuovo nell'aprile 2010, un’accusa di cui non è mai stata fornita alcuna prova (CFR) e che è rimasta nel cassetto perché ritenuta improbabile: per il lancio di questo sistema d’arma è richiesta, infatti, l’assistenza di personale qualificato e rampe di lancio installate su veicoli TEL (trasportatore, elevatore, lanciatore).
Come noto, Hezbollah è dotato di missili antinave di costruzione cinese C-802, forniti dall’Iran nella versione Noor (Jamestown), range 120 km e testata da 165 kg, e di missili russi da crociera Yakhont, range 300 km e testata HE o semi-perforante da 200/250 kg. Dei primi ne conosciamo l’esistenza perché ne fu utilizzato almeno uno durante la Seconda guerra israelo-libanese, il 14 luglio 2006, contro la corvetta israeliana INS Hanit. La nave, centrata mentre pattugliava le acque libiche a dieci miglia nautiche dalla costa di Beirut, non affondò ma subì danni all’altezza della linea di galleggiamento, sotto la sovrastruttura di poppa, sul ponte di volo e ai sistemi di propulsione. Il missile da crociera Yakhont è stato invece fornito alla Siria nel 2011, 18 veicoli TEL K-300 e 72 missili, con spedizioni di ulteriori varianti dotate di radar nel 2013. Si suppone che parte di questi sistemi d’arma, conosciuti anche come P-800 Oniks, sono stati poi trasferiti ad Hezbollah nel gennaio del 2016; stime statunitensi parlano di 12 unità (FDD) , ma i rapporti intelligence suggeriscono che, senza il supporto iraniano o siriano, Hezbollah non sarà mai in grado di utilizzare questo tipo di sistemi d’arma. Nel caso in cui in Libano arrivasse anche un solo lanciatore mobile K-300, questi missili potrebbero minacciare gran parte delle coste israeliane, gli impianti off-shore di estrazione di idrocarburi che operano nel contese acque del Mediterraneo orientale e le unità della Marina militare israeliana che incrociando a largo delle coste libanesi.
Particolarmente ampio è il ventaglio di missili anticarro in dotazione alle milizie sciite libanesi, per lo più russi o sovietici: dai missili guidati (ATGM) Malyutka (AT-3 Sagger), Fagot (AT-4 Spigot), Konkurs (AT-5 Spandrel) e Metis-M (AT-13 Saxhorn-2), ai più moderni e micidiali Kornet-E (AT-14 Spriggan), particolarmente efficaci negli attacchi ai carri armati israeliani Merkava (Al Jazeera) , gittata fino a 10 km e testata HEAT (High Explosive Anti-Tank) in tandem o FAE (termobarica HE), capace di attaccare mezzi dotati di sistema di difesa ERA (armatura reattiva/esplosiva) e perforare corazze in acciaio spesse 1.200 millimetri. Per quanto riguarda la Difesa Aerea, l’arsenale di Hezbollah conta, invece, su vecchi cannoni antiaerei ZU-23 calibro 23mm e su missili SA con range estremamente limitato: Misagh-1/2, Strela-2 (SA-7 Grail), Osa (SA-8 Gecko), Strela-3 (SA-14 Gremlin), Igla-1 (SA-16 Gimlet e SA-18 Gallo). Sul medio raggio si potrebbe avvalere dei sistemi Buk-M2 (SA-17 Grizzly), un’arma estremamente letale che si suppone la Siria abbia già tentato di introdurre in Libano, senza comunque riuscirci.
Infine il Pantsyr-S1 E (SA-22 Greyhound), l’S-300 (SA-10 Grumble) e l’S-400 Triumf (SA-21 Growler), tre sistemi di difesa aerea russi a medio e lungo raggio che Mosca ha rischieranto in Siria e che il presidente libanese Michel Aoun vorrebbe fossero utilizzati a protezione del Libano. Secondo fonti militari israeliane, Aoun avrebbe infatti chiesto al Cremlino di estendere lo spazio aereo siriano sotto protezione russa a tutto il Libano (Debka). La richiesta risale al 2018 e da allora non se ne è più parlato, ma sembra che per un certo periodo di tempo i massimi livelli del ministero della Difesa russo fossero propensi a raccomandarne l'approvazione. In Siria, il sistema di difesa russo dello spazio aereo è composto da sistemi antiaerei S-300, S-400 e Pantsir-S1E, potenziati da strati di batterie antiaeree a medio e corto raggio e da un'avanzata rete di guerra elettronica. (IT Log Defence)
Foto: Times of Israel, Israel-Alma.org, Military Today, Defense World, Military Today, Wikipedia