martedì, ottobre 31, 2023

Guerra Hamas-Israele: aggiornamento 30 ottobre

Terza fase di guerra, con l'esercito israeliano che continua ad avanzare e prepara il terreno per l'invasione: l'obiettivo  è tagliare in due la Striscia di Gaza, isolare il nord e circondare Gaza City. Raggiunta la strada Salah al Din, uno degli assi principali che collega Gaza City a Khan Yunis, e il quartiere di Sudaniya dove oramai si combatte strada per strada e si registrano violenti scontri tra le unità delle Tsahal e i miliziani di Hamas, con una colonna israeliana di veicoli blindato presa di mira dai mortai delle Brigate Al-Quds. Uccisi centinaia di miliziani, salvata nella notte con un'operazione congiunta con lo Shin Bet la soldatessa israeliana Ori Megidish, ostaggio di Hamas dallo scorso 7 ottobre. Demolite e distrutte diverse postazioni missilistiche di lancio, così come altre infrastrutture appartenenti ad Hamas; annientate numerose cellule terroristiche ed uccisi diversi comandanti, incluso il capo delle forze navali del gruppo centrale, Muhammed Safadi, il capo dello schieramento di missili guidati anticarro a Tuffah, Moumen Hijazi, e Muhammad Awdallah, un importante agente di Hamas coinvolto nella produzione di armi. 

Nella notte di ieri le Forze difesa israeliane (IDF) hanno colpito oltre 600 obiettivi. Secondo quanto si apprende, i reparti israeliani sono impegnati in aspri combattimenti: colpiti diversi centri di comando, depositi di armi e rampe di lancio, compresa una postazione di missili anti carro centrata dai caccia israeliani nelle vicinanze dell'universita' di Al Azhar, a Gaza. Fonti palestinesi, inoltre, riferiscono che almeno 23 persone sono state uccise in un bombardamento aereo delle IDF su due edifici residenziali nel nord della Striscia di Gaza, target ritenuti sedi di cellule di Hamas, mentre nelle aree centrali della regione, l'aviazione israeliana ha colpito un'abitazione ad Al Zawaida, uccidendo decine di persone. Sul fronte settentrionale, continuano le ostilità con Hezbollah che nelle ultime ore  ha sferrato una serie di attacchi lungo tutto il confine. Lanciati razzi dal Libano meridionale e dalla Siria, incluso uno missile che colpito una casa a Kiryat Shmona, città evacuate dal Ministero della Difesa all'inizio della guerra. Nel corso della giornata è stato intercettato un drone, rivendicato dal movimento yemenita Houthi, e un missile sul Mar Rosso, intercettato dal sistema di difesa Arrow; lanciati razzi contro il centro e il sud di Israele, compresa Gerusalemme, e un soldato delle IDF è stato ucciso e un altro è rimasto gravemente ferito in un incidente nel nord di Israele.

La conferma della situazione sul campo arriva dallo stesso premier Benyamin Netanyahu che in apertura del consiglio dei ministri riassume così la situazione: “La prima fase è stata quella di contenimento, la seconda il martellamento dal cielo, che ancora continua, ed ora, invece, l'estensione della penetrazione via terra nella Striscia”. Netanyahu ha poi sottolineato che in parallelo continuano gli sforzi per liberare gli ostaggi e che è proprio grazie a questa manovra terrestre che si stanno creando e le possibilità per ottenere la loro liberazione, un'opportunità che Israele non ha nessuna intenzione di perdere. Il premier ha poi lanciato un nuovo monito ad Hezbollah, il movimento sciita libanese che da settimane sferra costanti attacchi contro l'alta Galilea. Intanto, da Teheran tuonano le minacce contro Israele, avvisando lo Stato ebraico sulle conseguenza che potrebbe avere un'operazione di terra su vasta scala. Nel corso di una conferenaza stampa, il Maggiore Generale Mohammad Hossein Baqeri, capo delle forze armate iraniane, ha ricordato che “sotto la parte nord di Gaza c'è una rete di 400 chilometri di tunnel e alcuni di essi possono anche essere attraversati da veicoli e motociclette”. Secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa iraniana Tasnim, Baqeri sarebbe convito che Israele ritarderebbe l'avanzata perché conscio del fatto che “per i sionisti sarebbe un’altra sconfitta”. 

Negli Stati Uniti aumenta il numero dei democratici preoccupati per la situazione umanitaria a Gaza, per il ritardo dell'arrivano degli aiuti e per il numero crescente di vittime civili. La sinistra più estrema e gli alleati di ferro di Biden in seno al partito stanno avanzando dubbi sul modo in cui Israele stia conducendo l’azione di risposta agli attacchi di Hamas e un gruppo di 25 senatori ha chiesto a Biden di lavorare con Israele, Egitto e le Nazioni Unite per consegnare carburante alla Striscia e mettere gli ospedali e le pompe dell'acqua potabile in condizione di funzionare. Sul microblogging X, il senatore Chris Murphy ha scritto che se gli USA dovranno sostenere grande parte dei costi della guerra, è naturale che dovranno anche interessarsi al piano di guerra: “Non sarebbe buono finanziare un piano che non funziona”. E per il senatore democratico, quello di Israele non sembra essere un buon piano di guerra: “sembra abbastanza probabile che una lunga, senza fine operazione israeliana, come le nostre disastrose campagne in Iraq e Afghanistan, che taglia il carburante, l'acqua, Internet e provoca enormi perdite di civili, finirà per creare tanti militanti di Hamas quanti ne eliminerà”. 

Biden, fermamente schierato dalla parte di Israele, rischia quindi di essere considerato responsabile del modo in cui Israele sta conducendo l'offensiva a Gaza. In effetti, nonostante l'amministrazione cerchi di calmare le acque spiegando che alcune delle preoccupazioni espresse dagli esponenti democratici sono già state sollevate in colloqui diplomatici riservati, la posizione della Casa Bianca cambia di poco. Nelle ultime ore il Consigliere per la Sicurezza Nazionale, Jake Sullivan, ha, infatti, detto che “il governo israeliano deve fare tutto il possibile per distinguere tra i terroristi di Hamas, che sono legittimi target militari, e i civili che non lo sono”, ma allo stesso tempo, nella nuova telefonata fatta a Benjamin Netanyahu, il presidente Biden ha ricordato che il suo diritto alla difese deve esser esercitato “nel rispetto della legge umanitaria internazionale che ha come priorità la protezione dei civili”. 

Mentre il Cairo lancia un'allerta su probabili operazioni militari israeliane al confine tra la Striscia di Gaza e il Sinai, a Washington c'è anche chi pensa che Israele abbia deciso di dare ascolto alle parole del presidente Baiden sul piano di invasione di terra su larga scala. Secondo quanto pubblicato dal New York Times, in un incontro tra funzionari statunitensi della sicurezza e gli omologhi israeliani si sarebbe discusso degli effetti di un’invasione su larga scala e sulla mancanza di obiettivi militari realizzabili, soprattutto alla luce del fatto che a loro parere l’esercito israeliano non fosse ancora pronto. Secondo il rapporto, i raid nella Striscia di Gaza sembrerebbero meno intensi di quello previsto e più mirati di quanto precedentemente avvenuto, e i funzionari americani hanno affermato che ciò implica che Israele abbia ascoltato il consiglio americano. 

Un possibile ostacolo che complica l'invasione deriverebbe dalla fitta rete di tunnel e spazi sotterranei, un labirinto carico di armi e munizioni dove sembra siano tenuti i prigionieri israeliani. Il quotidiano “Al-Arabi Al-Jadeed” riferisce che, appellandosi agli accordi di Camp David, il Cairo ha lanciato seri avvertimenti al governo israeliano contro lo svolgimento di operazioni militari di terra all'interno della Philadelphi Route. Secondo fonti egiziane, “Il Cairo ha avvertito in anticipo che operazioni militari nella zona costituirebbero una violazione dell'accordo, cosa che l'Egitto non permetterà, soprattutto alla luce del fatto che non ha accettato l'idea dell'ingresso di terra in modo positivo, a causa delle sue implicazioni per la sicurezza nazionale egiziana”. Sempre la fonte egiziana riferisce che il Cairo ha anche respinto le scuse di Israele per l'incidente che la settimana scorsa ha coinvolto una postazione egiziana, una torre di guardia di frontiera colpita accidentalmente da tank israeliano che stava operando nei pressi di Kemer Shalom. Secondo l'Egitto non si tratterebbe di un errore ma di una provocazione. 

In Israele il leader dell'opposizione, Yair Lapid, afferma che sosterrà qualsiasi decisione presa dal governo per ottenere la restituzione degli ostaggi: “dobbiamo adottare misure dolorose per garantire che tornino a casa” (Times of Israel). Lapid ha invitato il governo a dare la caccia ai vertici politici e militari di Hamas, “sia a Gaza che in altri Paesi”, perché “finché non moriranno, il Medioriente non capirà che non stiamo scherzando”. Lapid ha nominato nella fattispecie sei persone: Yahya Sinwar, Mohammed Deif, Ismail Haniyeh, Saleh al-Arouri, Khaled Mashal e Marwan Issa. Nelle stesse ore, il direttore Mossad, David Barnea, è stato in Qatar per parlare di ostaggi: colloqui positivi e costruttivi, ma che non avrebbero portato ad una vera svolta (Axios). Incontrando alti funzionari di Doha, Barnea ha discusso della possibilità di garantire il rilascio degli oltre 235 cittadini israeliani e stranieri presi in ostaggio e portati a Gaza durante l'attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre. Per quanto riguarda gli ostaggi, il Qatar è attualmente il principale mediatore tra Israele e Hamas ed il principale punto di riferimeto dell'amministrazione americana; molti dei prigionieri che Movimento islamico di resistenza tiene in ostaggio sono americani. 

In un’intervista per Linkiesta, in collaborazione con Euronews Albania, l'ex direttore della CIA, David Petraeus, ha dichiarato: “Quello che appare chiaro è che la distruzione di Hamas è l'unica opzione percorribile per la pace della regione. Israele ha preparato in questi giorni il terreno per l'invasione di Gaza, invasione che sarà molto dura, forse la più dura nella storia dei conflitti in Medio Oriente. Hamas non è in grado di negoziare, non può garantire nulla perché la sua funzione è solo quella di distruggere lo Stato di Israele”. Secondo il generale americano “occorre che il governo di Tel Aviv stenda un piano post bellico per rassicurare l'Anp e i palestinesi che un futuro senza terrorismo sarà conveniente per loro. In questa direzione gli aiuti umanitari devono essere incrementati e deve esserci una chiara strategia per assistere la popolazione civile”. David Petreus ritiene che “l'Iran combatte una guerra per procura nell'area ma non accentuerà lo scontro con gli Stati Uniti, stessa cosa penso del Libano e di Hezbollah che possono procurare danni sul fronte Sud per la mole di armamenti”. Per l'ex direttore della CIA “La lotta ad Hamas passa non solo per il piano militare, ma vanno tolte le risorse alle organizzazioni terroristiche, anche quelle che passano per l'Europa. Per questo motivo auspico una maggiore collaborazione tra le intelligence di tutto il mondo libero”. 

In un articolo pubblicato sul Wall Street Journal, intitoloato “il Qatar è il mediatore onesto per il Medio Oriente”, l'ambasciatore del Qatar negli Stati Uniti, Meshal bin Hamad Al Thani, denuncia una campagna di disinformazione contro Doha. Al Thani ricorda che “l'ufficio politico di Hamas in Qatar è stato aperto nel 2012 su richiesta di Washington per stabilire linee indirette di comunicazione con Hamas”. L'ambasciatore ritiene che la falsa narrativa sui rapporti tra Doha ed Hamas descritta dai media crea ostacoli agli sforzi di mediazione e mira a far deragliare i negoziati: tutti i fondi trasferiti negli anni dal Qatar a Gaza sono avvenuti “in pieno coordinamento con Israele, gli Usa e le agenzie dell'Onu come il Wfp e il coordinatore speciale per il processo di pace in Medio Oriente”. Di tutt'altro avviso Israele, convinto le decine di milioni di dollari trasferiti ai residenti di Gaza hanno finito per rafforzare Hamas e le sue capacità  (IT Log Defence)